LO CONTAGIO DELL’AMMORE

di Lorenzo Gioielli

 

Una compagnia di attori girovaghi, di quelle che dopo l’anno Mille hanno popolato le piazze, che hanno seguito gli eserciti per portar loro svago nelle pause fra una battaglia e l’altra, che hanno offerto divertimento e lietezza ai nobili dei luoghi dove di volta in volta venivano accolti e rifocillati, giunge in teatro. Recitano, ed è sempre l’amore che raccontano, compreso e principalmente l’amore per il pubblico, che spinge le attrici e gli attori a raccontare le “istorie” di re e regine, draghi e mezzadri, di nascite e morti. Narrano di amori non corrisposti o impossibili, di tradimenti inevitabili e che generano sofferenza anche per i traditori stessi, ma anche di amori luminosi che trovano il coraggio di mostrarsi e di amori quieti che il tempo non può scalfire.
Ma c’è anche il terribile e magnifico mistero del teatro, della narrazione, la sospensione dell’incredulità che spinge a ritenere vero quello che si sa per certo essere rappresentazione. E l’esperienza vicaria, con cui di volta ci s’immedesima nel Visconte e nell’Attrice, nel Trasportatore e nel Cerusico, nel Traditore e nel Tradito.
Il tutto in una lingua inventata che echeggia Dante e l’Armata Brancaleone, che ha il Dna dell’italiano e onomatopeie dialettali. Una lingua comprensibilissima e a volte addirittura futuribile.
Molti di voi (di noi) si ritroveranno in questo spettacolo, perché le “istorie” a questo servono, ad emozionare e a riaccendere una luce fioca o addirittura spenta da troppo tempo.
Non importa se la vostra storia è impossibile, gli amori non si decidono e i dolori purtroppo non si reprimono. L’amore è l’unica cosa che davvero conta. Contra l’ammore niuno nullìo po’.
Ah, finisce bene. Anche se non per tutti.